Pagliaro, Mandolesi, Paren, Marconi, Galli, Sireci and Agostini
Abstract
Reason
Several studies have highlighted how bio-photons emission can be considered a reliable indicator of the status of health or illness of a living being. Further evidence show that this emission can be regulated through meditative practices. e current paper reports a rst observational case study which intends to demonstrate the possibility of intentionally transfer energy from an individual to another and that the process can be recorded using appropriate speci c tools.
Method
An expert therapist used a Tibetan meditative practice called TsaRlung on a healthy participant, who volunteered to the study. e session was recorded using two highly speci c recording devices, the FAST video- camera and the FUTURA camera. e recording was performed under temperature and humidity controls. e background was measured in the empty room and with the therapist and the participant had not come into contact prior to the meditative session. At the same level of cameras’ sensitivity, the images were showing regular images with no signs of unexplained photons.
Results
Frames from the active session show di erent steps of a shi of energy from the therapist to the participant.
Conclusion
Evidence from this rst observational case study, which shows the existence of an energy in form of bio-photons emission intentionally created and then transferred from a human being to another one, presents strong incentive to set up more challenging and tightly controlled studies.
La diagnosi di cancro al seno porta con sé numerosi cambiamenti nella vita delle donne e delle loro famiglie: vengono compromesse la sfera sociale, fisica, funzionale ed emotiva. Anche quando le terapie si dimostrano efficaci e la situazione sembra rientrare, per alcune donne non è facile recuperare un equilibrio psicofisiologico.
Le tecniche mente-corpo possono, in questo delicato momento, supportare le donne operate al seno. I dati di uno studio pubblicato sul Wester Journal of Nursing Research, condotto da un team di ricercatori della Sinclair School of Nursing dell’università del Missouri (USA), sottolineano l’efficacia del protocollo Mindfulness Based Stress Reduction per migliorare la qualità della vita e la gestione dello stress nelle donne operate al seno. La ricerca prevedeva un ciclo di otto sedute di gruppo, una parte del campione oltre al trattamento standard seguiva il protocollo MBSR.
I benefici maggiori dopo il trattamento MBSR sono stati:
abbassamento della pressione sanguigna;
rallentamento della frequenza respiratoria;
rallentamento del battito cardiaco;
miglioramento del tono dell’umore.
Articolo consigliato: Le reazioni psicologiche dei pazienti con scompenso cardiaco.
Conferma di questo dato la troviamo sulla rivista Integrative Cancer Therapie: una pratica meditativa aiuterebbe, dunque, a ridurre lo stress e a migliorare il benessere emotivo. A questo studio hanno partecipato 130 donne affette da tumore al seno in cura presso un reparto oncologico. L’intero campione è stato diviso in due gruppi: una seguiva una terapia combinata di cure tradizionali + meditazione, e un secondo gruppo che seguiva solamente le cure “tradizionalmente” prescritte. In particolare i soggetti della ricerca hanno trovato nella meditazione un ottimo strumento per la riduzione dello stress, e riportano i benefici maggiori dopo gli incontri di gruppo.
La meditazione come trattamento aggiuntivo per le donne operate al seno viene utilizzata anche presso l’Ospedale Bellaria di Bologna dove il Dott. Gioacchino Pagliaro porta avanti dal 2003 il progetto “ Armoniosamente”. (Scarica il pdf della presentazione)
Questo protocollo prevede due parti: una prima fase di psico-educazione i cui obiettivi principali sono:
accrescere la speranza nei confronti della guarigione;
aumentare la fiducia nella cura radio e chemio terapica;
aiutare a migliorare il rapporto con il corpo ”malato”.
In una seconda fase vengono insegnate tecniche di meditazione e visualizzazione. In questo caso gli obiettivi principali sono:
ridurre lo stress;
far sentire le donne protagoniste della cura e dei processi di guarigione;
aumentare l’autostima;
ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia;
Grazie al prezioso lavoro di studio e di ricerca svolto dall’AIREMP (Associazione Italiana di Ricerca sull’Entanglement in Medicina e in Psicologia) il 19-20 Novembre 2011 si è tenuto a Bologna il Congresso Nazionale:
Medicina, Psicologia e Fisica Quantistica: la crisi delle certezze e l’umanizzazione della cura.
Vi ho partecipato affascinata dal vedere tanti professionisti di diversi orientamenti e con diverse specialità: fisici, medici, biologi, psicologi, sociologi dialogare insieme utilizzando un linguaggio comune e volto ad un progetto integrato di cura e presa in carico della persona-paziente.
Ho avuto la possibilità di parlare con il Prof. Gioacchino Pagliaro, Vice Presidente dell’AIREMP, per approfondire alcune tematiche trattate nel convegno.
Al convegno si è parlato molto di PNEI, quali sono le peculiarità di questo approccio?
Innanzitutto premetto che è necessario specificare che la PNEI di cui si occupa l’AIREMP si riferisce ad un nuovo ambito di ricerca e di applicazione clinica che sta evidenziando il profondo collegamento esistente tra processi quantistici e processi bio-chimici del nostro organismo, che denominiamo PNEI Quantistica. Questo collegamento cambia strutturalmente la visione dogmatica, basata sulla convinzione che i geni condizionano il nostro funzionamento, e le conseguenti concezioni della cura e della salute. La PNEI Quantistica sostiene che la mente non è un epifenomeno del cervello, ma preesiste al cervello stesso, come dimostrato dalle teorie di molti scienziati di fama mondiale, (tra cui spiccano i nomi di Penrose, Libet, Hameroff, che parlano di processi mentali in termini di Neurodinamica Quantistica e di Neuro Quantologia), e come sostenuto dal buddhismo, che concepisce la mente come non localizzata in un punto del corpo, ma come eterna ed infinita, che si manifesta temporaneamente anche nel corpo umano.
Ci può dare una definizione di Entanglement, concetto chiave del Convegno?
L’Entanglement rappresenta l’evoluzione ulteriore che è avvenuta nella fisica quantistica. E’ la struttura teorico-scientifica di questa nuova visione della realtà e dell’uomo, non più legata alla fisica classica e alle sue teorie deterministiche e riduzioniste. Determinismo e riduzionismo hanno prodotto in medicina, in biologia e in psicologia il modello bio-medico, caratterizzato dal sapere disciplinare e frammentato, rigidamente centrato su una concezione meccanica della cura, intesa come riparazione e/o sostituzione della parte malata. Se la PNEI tradizionale considera l’organismo umano come un network dotato di relazioni bidirezionali tra psiche e sistemi biologici, la PNEI Quantistica attraverso l’Entanglement considera l’uomo come una unità processuale, dove la mente biografica e il corpo sono invece un tutt’uno, quindi l’espressione della Mente, intendendo con questo termine, ciò che sottende ogni forma ed ogni entità che percepiamo intorno a noi. L’uomo come entità processuale è pervaso dall’energia/informazione della Mente, ed è caratterizzato dalla interconnessione e dalla dall’interdipendenza in una condizione di inseparabilità. E’ Entangled con le dimensioni energetiche e spirituali della Mente.
Nella sua relazione al Convegno ha parlato di Entanglement e Compassione ci può spiegare come portare operativamente questi concetti in terapia e nella presa in carico del paziente?
La terapia per noi psicologi, medici, biologi e fisici (ricercatori e clinici) dell’ AIREMP, va oltre la “riparazione di una parte malata”. Curare vuol dire prendersi cura e quindi interagire con la persona malata per aiutarla ad attivare il processo di guarigione che è dentro di lei e intorno a lei. La Compassione, intesa in termini buddhisti come profondo desiderio di aiutare l’altro a liberarsi dalla sofferenza , indica per i terapeuti un nuovo bagaglio teorico e di competenze legato ai processi energetici, quantistici e spirituali della mente biografica e della Mente. Tutto questo rappresenta il superamento della visione bio-psico-sociale dell’uomo, delle etichette diagnostiche, delle teorie intracraniche della mente e della terminologia che ne è derivata (psiche, psico-somatica, bio-psichico ecc. ecc.), che sopravvivendo generano solo pasticci semantici e linguistici.
La giornata di sabato si è conclusa con una sessione pratica di meditazione guidata dalla Ven.le S. Khadro, quali sono secondo la sua esperienza clinica gli effetti benefici della meditazione?
Gli effetti benefici della meditazione oggi sono ampiamente dimostrati e verificati sia a livello fisiologico, che bio-chimico, che psicopatologico. La letteratura scientifica è vastissima e dimostra che la meditazione è particolarmente indicata nella gestione dello stress, nel trattamento dell’ansia, dell’attacco di panico, nelle depressioni, nel trattamento dell’insonnia, del colon irritabile e come regolatore della pressione. Nella mia UOC di Psicologia Ospedaliera, all’Ospedale Bellaria dell’AUSL di Bologna, la utilizziamo con pazienti oncologici, cardiologici e neurologici. Ma la meditazione è e resta innanzitutto una pratica di liberazione dalla sofferenza dell’esistenza, e quindi è un cammino di elevazione spirituale . Sarebbe un errore ridurla ad una forma di terapia. Continuiamo a chiamarla meditazione, non americanizziamola con il termine mindfulness pensando di attribuirle un maggiore alone di scientificità.
Ripenso ai giorni del Convegno agli spunti e alle riflessioni da portare quotidianamente nell’attività clinica, e mantengo in sottofondo il piacevole ricordo del concerto di canto armonico a conclusione della prima giornata di lavoro.
LO STRESS E L’ANSIA NON SONO SOLO UN EFFETTO COLLATERALE EMOTIVO DELLA DIAGNOSI, MA COSTITUISCONO ANCHE UN FATTORE IN GRADO DI RIDURRE SIGNIFICATIVAMENTE L’EFFICACIA DEI FARMACI CONTRO IL CANCRO ALLA PROSTATA E DI ACCELERARE LO SVILUPPO DELLA MALATTIA.
Una nuova ricerca condotta da ricercatori della Wake Forest Baptist Medical Center dimostra che lo stress e l’ansianon sono solo un effetto collaterale emotivo della diagnosi, ma costituiscono anche un fattore in grado di ridurre significativamente l’efficacia dei farmaci contro il cancro alla prostata e di accelerare lo sviluppo della malattia.
In un primo studio sono stati utilizzati topi cui sono state impiantate cellule umane “malate” e trattate con un farmaco attualmente in sperimentazione clinica per il trattamento del cancro della prostata. Quando gli animali erano tenuti in una condizione di calma e assenza di stress, il farmaco è risultato efficace nell’inibizione della crescita tumorale. Viceversa, nella conduzione in cui i topi venivano sottoposti a elevati livelli di stress, il farmaco non è stato in grado di bloccare lo sviluppo tumorale e di debellare le cellule malate.
In un secondo studio, alcuni topi geneticamente modificati per sviluppare il cancro alla prostata sono stati ripetutamente sottoposti a stress: questi animali hanno sviluppato tumori di dimensioni maggiori, e nel momento della terapia il farmaco antitumorale bicalutamide (attualmente in uso) non ha prodotto alcun effetto rispetto al gruppo di topi non stressati.
Sembrerebbero in gioco processi biologici attraverso cui l’epifrenina innesca una reazione a catena che inibisce la morte cellulare delle cellule malate. Quindi in presenza di stress e ansia, ovviamente conseguente a tali diagnosi, si può innescare un circolo vizioso tra emotività negativa e progressione della patologia.
Tuttavia, nel momento in cui si somministrano ai topi farmaci beta-bloccanti (che inibiscono la reazione a cascata elicitata dall’epifrenina che impedisce la morte cellulare delle cellule tumorali) anche livelli elevati di stress non hanno favorito l’avanzamento del tumore. I ricercatori hanno intenzione di verificare la generalizzabilità di tali risultati su un campione umano.
Pertanto identificare i pazienti particolarmente colpiti da stress e ansia può essere utile per evitare che tali variabili psicofisiologiche costituiscano un ostacolo all’efficacia terapeutica, intervenendo sia a livello farmacologico (introduzione di betabloccanti) che psicoterapico per la gestione dell’ansia e dello stress.
Il Tonglen è un antichissima pratica meditativa tipica della meditazione tibetana ed ha un grande campo di applicazione in quanto non tratta solo le forme di disagio e di disturbo psicologico, ma è una vera e propria pratica di trasformazione ed evoluzione personale.
Tra pochi giorni partirà la sperimentazione della pratica meditativa del Tonglen per la cura delle patologie oncologiche.
Abbiamo la possibilità di confrontarci su alcuni aspetti di questa ricerca con il Dott. Gioacchino Pagliaro, direttore della Psicologia Clinica dell’Ospedale Bellaria di Bologna
Ci può spiegare i fondamenti della pratica meditativa del Tonglen?
Il Tonglen è un antichissima pratica meditativa tipica della meditazione tibetana ed ha un grande campo di applicazione in quanto non tratta solo le forme di disagio e di disturbo psicologico, ma è una vera e propria pratica di trasformazione ed evoluzione personale.
È molto utilizzata nella medicina tibetana che la ritiene una meditazione molto potente ai fini della guarigione. Caratteristica principale della medicina tibetana è quella di essere la medicina più spirituale rispetto a tutte le altre medicine orientali proprio perchè si basa sui principi del buddismo e quindi sull’azione terapeutica che la mente svolge, ed è dunque, facile comprendere il perché la meditazione sia ritenuta parte integrante del processo di cura.
Questa pratica consiste letteralmente nel prendere e nel dare, che vuol dire fare qualcosa per liberare gli altri dalla loro sofferenza applicando, così, il principio buddista della compassione assumendo la sofferenza degli altri su di sé per purificarla e trasformarla in energia benefica riequilibratrice che va direzionata verso le persone malate.
È la prima volta che questo tipo di meditazione viene utilizzata in un protocollo sperimentale del genere?
Nonostante la pratica del Tonglen sia utilizzata da alcuni anni negli Stati Uniti e nel nord Europa e da alcuni psicologi e medici in Italia non è stato fatto a tutt’oggi nessuno studio che ne verifichi l’efficacia. In questo scenario l’Unita Operativa di Psicologia Ospedaliera dell’ospedale Bellaria di Bologna sarà la prima al mondo nel verificarne l’efficacia.
Ci può spiegare brevemente quali sono gli obiettivi e i risultati aspettati della ricerca che sta per iniziare?
Gli obiettivi principali della ricerca sono quelli di andare a verificare l’efficacia di questa pratica per un suo eventuale utilizzo nella pratica clinica quotidiana andando a monitorare la reazione e l’eventuale modifica dei linfociti, dei neutrofili, del cortisolo e dei valori pressori, e dal punto di vista psicologico di ansia, stress e depressione.
Non ci sono veri e propri risultati attesi ma per ora ci limiteremo a vedere che cosa emergerà dell’analisi degli esami e delle scale psicologiche utilizzate. Ad una distanza di tre e cinque anni dalla conclusione della ricerca si andrà, poi, a vedere nel registro dei tumori che cosa è successo nella vita di questi pazienti.
Come è avvenuto il reclutamento del campione e quali test vengono fatti ai pazienti che faranno parte del gruppo sperimentale e del gruppo di controllo?
La ricerca prevede un campione di 80 pazienti che sono stati reclutati dall’Unità Operativa di Oncologia dell’Ospedale Bellaria diretta dalla dott.ssa Brandes. Il campione dei pazienti deve avere queste caratteristiche: non presentare disturbi psichiatrici, non essere seguito dalla Psicologia Ospedaliera, non essere nella fase grave di malattia. Di questi 80 pazienti in maniera randomizzata ne saranno scelti 40, che il gruppo di meditatori appositamente formato, non conoscerà e non incontrerà mai, gli altri andranno a formare il gruppo di controllo.
I test utilizzati saranno il ProfileOfMoodState (Douglas M. McNair, Maurice Lorr e Leo F. Droppleman) le scale di Zung per ansia e depressione e un questionario sulla qualità della vita.
Quali sono secondo lei i risvolti più interessanti di questa ricerca dal punto di vista della presa in carico del paziente e del percorso di cura?
Il risvolto più interessante di questa ricerca riguarda il fatto che questa pratica di meditazione è molto diversa da quella che l’Unità Operativa di Psicologia Ospedaliera utilizza abitualmente. Le altre metodiche utilizzate, infatti, funzionano come “addestramento” del paziente rispetto ad una determinata pratica facendo cioè in modo che il pazienti possa impararla e autonomamente utilizzarla. Mentre la pratica del Tonglen è una pratica che si potrebbe quasi definire di meditazione a distanza. Un gruppo di 15 meditatori, in questo caso, medita a favore del gruppo dei pazienti. Questa meditazione dovrebbe produrre un miglioramento della vita dei pazienti, ma anche e contemporaneamente un beneficio importante per chi la sta praticando.
Ogni meditatore, che prenderà parte alla ricerca, avrà un diario in cui indicherà come svolgerà la meditazione, dove potrà annotare cosa per lui è migliorato nel periodo di pratica.
L’importanza di questa ricerca sta anche nel raggiungere un certo rigore dal punto di vista metodologico ricerca che per altro ha avuto l’autorizzazione del Comitato Etico e l’approvazione della direzione sanitaria e del Dipartimento Onclogico dell’Ausl di Bologna.
ArmoniosaMente prevede l’uso di tecniche meditative basate sui principi del modello Mente-Corpo, rivolto a gruppi di donne affette da tumore alla mammella.
La prima volta che sono entrata nel reparto di Psicologia Clinica Ospedaliera del Dipartimento Oncologico dell’AUSL di Bologna sono subito rimasta colpita dall’attenzione per il dettaglio e dalla cura del contesto: la musicoterapia, l’aromaterapia, le immagini proiettate sulla pareti, il giardino zen, mi sono sentita accolta, l’ambiente caldo e rassicurante che trasmette tranquillità e sensazioni positive.
Ho pensato a come potesse sentirsi un paziente che arriva in quel reparto, un paziente spesso affaticato dal decorso della malattia, e ho pensato a quanto anche questa attenzione potesse far parte del prendere in carico e del processo di cura, e di come possa avere effetti positivi sul percorso di supporto e di benessere dell’individuo. Su questi temi e sul protocollo ArmoniosaMentemi sono confrontata con il Dott. Pagliaro direttore dell’Unità Operativa.
Il protocollo ArmoniosaMente è un progetto attivo dal 2003 che prevede l’utilizzo di tecniche meditative basate sui principi del modello Mente-Corpo, rivolto a gruppi di donne affette da tumore alla mammella con trattamento in corso.
SoM: Ci racconta brevemente come viene strutturato il protocollo ArmoniosaMente, come vengono inviate e selezionate le pazienti, quanti incontri, quali gli obiettivi principali?
GP: ArmoniosaMente si basa su due aspetti che nel corso degli anni l’evidenza scientifica ha evidenziato come basilari nell’efficacia di ogni pratica inerente la salute: la corretta informazione sanitaria sugli stili di vita e le pratiche meditative. Il particolare disagio psicologico e psicopatologico della persona che si ammala di tumore, caratterizzato da senso di precarietà e vulnerabilità, ansia depressione e panico, fa emergere con chiarezza l’importanza che una corretta informazione possa svolgere nel creare una forte adesione del paziente alle cure mediche e nel dargli fiducia in quello che sta facendo. Per tale motivo il protocollo è stato denominatoArmoniosaMente in quanto ha l’obiettivo di agire sulla dimensione mentale offrendo alle pazienti una specifica informazione sanitaria e una pratica meditativa che consente di aiutare la mente a stimolare il potenziale di guarigione che ognipersona ha rendendo, così, le cure più efficaci.
SoM: Quali sono le principali difficoltà che portano le donne a cui vengono insegnate le tecniche di meditazione, e in che modo lei cerca di risolverle?
GP: Le principali difficoltà sono legate ai timori tipici della malattia e al rischio delle ricadute e alla paura di morire, a cui si aggiunge lo stress legato alla specificità del percorso di cura. Il protocollo ArmoniosaMente grazie all’utilizzo della meditazione è un’ottima risposta perché oltre a fornire al gruppo di donne degli strumenti pratici da utilizzare per la gestione dello stress permette a loro anche di condividere le diverse esperienze nel percorso di cura, normalizzandone i vissuti.
SoM: Quali sono i benefici che con questa pratica lei ha potuto riscontrare nelle pazienti che hanno partecipato a questo progetto?
GP: I benefici del protocollo ArmoniosaMente sono facilmente descrivibili in quanto sono delle costanti che emergono da oltre 1200 pazienti che nel corso di questi anni lo hanno utilizzato e sono: gestione dello stress, trattamento dell’ ansia e della depressione, gestione della paura, aumentato senso di fiducia nelle terapie, atteggiamento di speranza ed una maggiore consapevolezza e capacità di affrontare le difficoltà.
SoM: Quali sono le evidenze scientifiche dell’efficacia della meditazione in oncologia?
GP: Le principali evidenze scientifiche che si sono verificate sull’efficacia della meditazione in oncologia oltre al trattamento dei disturbi psicologici psicopatologici sopracitati, che sono reattivi alla patologia tumorale, sono quelle di un azione di contenimento della nausea, della fatica, della stanchezza, del vomito come effetti collaterali di chemioterapia e radioterapia ed anche una importante azione di contenimento del dolore secondario alla patologia oncologica stessa.
SoM: Questo “protocollo” viene applicato solo in oncologia o ci sono altri campi di applicazione all’interno dell’AUSL di Bologna?
GP: Questo protocollo viene utilizzato anche in cardiologia e in neurologia con pazienti con fase iniziale di sclerosi e con fase iniziale di atassia.
Il protocollo di ArmoniosaMente è uno degli interventi più completi, ad oggi, nel campo della meditazione in oncologia ed attualmente viene insegnato attraverso uno specifico corso organizzato dell’Ausl di Bologna, sotto la supervisione del Dott. Pagliaro, in cui vengono formati sia medici che psicologi.
Rimane comunque importante sottolineare che tutti i pazienti in carico all’Unità Operativa di Psicologia Clinica dell’ Ospedale Bellaria possono apprendere nel corso della presa in carico individuale tecniche di meditativa e visualizzazione.
Il direttore di Psicologia Ospedaliera dell’Ausl di Bologna ha creato “ArmoniosaMente”, un percorso per le pazienti oncologiche. Per imparare a gestire le difficoltà di tutti i giorni
Tiziana Moriconi
La meditazione è una pratica antichissima, arrivata in Occidente verso la fine degli anni Sessanta. Fin dall’inizio è stata associata alla cultura di contestazione degli Hippy o ad altri stereotipi, come quelli che la indicano come una pratica legata alla religione o usata per estraniarsi dal mondo. Ma la meditazione non è nulla di tutto questo. Che cosa sia in realtà e come possa aiutare i pazienti oncologici ad affrontare meglio il difficile momento della diagnosi, delle cure e dei controlli ce lo spiega Gioacchino Pagliaro, Direttore dell’Unità Operativa di Psicologia Ospedaliera del Dipartimento Oncologico dell’Ausl di Bologna.
L’arte della meditazione. “Meditare significa sviluppare una forma di consapevolezza che aiuta ad essere più presenti a se stessi in ogni azione che si compie”, racconta Pagliaro: “Non è certo, quindi, un ritiro dalla realtà quotidiana, né una particolare forma di riflessione, come spesso si crede. Riflettere su un problema è una cosa, meditare è un’altra. E per farlo è necessario un addestramento che insegni come fermare la concentrazione su un oggetto preciso o su un atto, come respirare, e che ha come primo obiettivo quello di liberarci dal lavorio mentale: il flusso dei pensieri, delle preoccupazioni, delle tensioni, degli stati mentali nocivi”.
La meditazione per i pazienti oncologici. Pagliaro ha cominciato a occuparsi di meditazione oltre venti anni fa, quando ancora gli studi scientifici sugli effetti benefici di questa pratica erano pochi e poco noti. Da allora, si sono continuati ad accumulare dati sulla sua efficacia nei pazienti oncologici, soprattutto per la gestione dello stress, nel trattamento degli stati di ansia e depressione, come un metodo complementare alle cure farmacologiche per alleviare il dolore cronico e per ridurre gli effetti collaterali di chemioterapia e radioterapia.
ArmoniosaMente. Nel 1997, Pagliaro ha sviluppato un protocollo espressamente diretto alle donne con tumori alla mammella, ArmoniosaMente, e da allora continua ad applicarlo con successo. “Il protocollo – spiega lo psicologo – si basa su due concetti cardine: mettere a disposizione delle pazienti una corretta informazione medica, per far sì che conoscano fin dall’inizio tutto il percorso di cura che dovranno affrontare, e imparare a usare la meditazione per ridurre lo stress. Nella mia esperienza, entrambe queste fasi si sono mostrate importanti: la corretta informazione medica serve per per aumentare l’aderenza alle terapie, la meditazione per controllare alcuni effetti collaterali come la fatigue, le nausee e il vomito e per trattare i disturbi psicologici reattivi alla patologia. In una frase, la meditazione potenzia gli effetti delle cure”.
Le due fasi di ArmoniosaMente. Il protocollo si sviluppa in due fasi, per un totale di undici sessioni. Nella prima, le donne, in gruppi di 10-15 persone, incontrano il senologo, il chirurgo, l’oncologo, il radioterapista e gli specialisti dell’alimentazione e dello sport. Le pazienti hanno cioè l’opportunità di un confronto diretto con chi le segue e possono condividere l’esperienza e i dubbi con le altre donne del gruppo. Nei restanti cinque incontri della seconda fase viene insegnata una pratica meditativa tibetana. “A distanza di un mese dalla fine dell’addestramento, misuriamo lo stress e altri parametri attraverso scale psicologiche – conclude Pagliaro – e ad ogni ciclo notiamo che quasi tutte le pazienti riportano un miglioramento della qualità di vita e un atteggiamento più positivo nei confronti della malattia e della guarigione”.
Quando noi consideriamo una realtà animata da un punto di vista o da uno schema di riferimento puramente esterno senza sforzarci di capirla dall’interno per via empatica noi la riduciamo allo stato di oggetto
Carl Rogers
MA PERCHÉ MEDITARE? PERCHÉ TROVARE IL TEMPO? SI STA COSÌ BENE A LETTO.. E POI LA POSIZIONE SEDUTA CON LA SCHIENA DRITTA È COSÌ SCOMODA… QUALCHE PICCOLA RISPOSTA SU CUI RIFLETTERE E MAGARI UN AIUTO ALLA MOTIVAZIONE ALLA PRATICA MEDITATIVA CHE VACILLA NELLA FRENESIA DELLA VITA MODERNA.
Chi medita è più empatico..
I ricercatori dell’università del Wisconsin hanno dimostrato che grazie alle tecniche di meditazione, è possibile diventare più compassionevoli e più gentili verso il prossimo.Allo studio hanno partecipato 32 soggetti 16 praticanti esperti e 16 “neofiti”, che avevano semplicemente ricevuto un training di meditazione nelle due settimane prima dell’esperimento. Venne chiesto ai partecipanti allo studio di meditare e gli vennero fatte ascoltare vocalizzazioni umane sia positive che negative con lo scopo di valutare le eventuali relazioni empatiche. Dalla risonanza magnetica funzionale si è visto che i circuiti del cervello coinvolti nella percezione delle emozioni sono maggiormente attivati nei meditatori esperti.
Meditare fa bene al cuore!
Lo dimostra la ricerca pubblicata su Circulation: Cardiovascular quality and outcoms. Lo studio è stato condotto su 201 persone con un’età media di 59 anni, con un BMI medio di 32, ed è emerso checoloro che praticavano quotidianamente la meditazione Vipassana avevano il 48% in meno di possibilità di avere un attacco di cuore o un ictus, rispetto a coloro che avevano frequentato un corso di educazione alla salute durato cinque anni dove venivano presi in considerazione dieta ed esercizio fisico. La valutazione del benessere dei partecipanti alla ricerca è avvenuta sia in fase iniziale che dopo tre mesi e già nel gruppo dei praticanti era emersa una diminuzione della pressione sanguinea e livelli inferiori di stress.
Grazie alla meditazione meno stress e più “multitasking”
Stress meditazione e essere multitasking ecco le variabili di uno studio pubblicato su Proceedings of Graphics Interface condotto da David Levy e Jacob Wobbrock dell’Università di Washington di Seattle (Usa) in collaborazione con Marilyn Ostergren e Alfred Kaszniak dell’University of Arizona (Usa).
I ricercatori hanno diviso i partecipanti dello studio in due gruppi una ha partecipato a un corso di otto settimane di meditazione, mentre l’altro ha seguito per otto settimane un training di rilassamento. Chiedendo ai partecipanti di utilizzare email, calendario, messaggi di testo e telefono allo stesso momento, i partecipanti sono stati valutati, prima e dopo ogni periodo di training, rispetto alle loro capacità di resistere allo stress e di essere multitasking. Dall’analisi dei dati è emerso che il gruppo della meditazione ha riportato livelli di stress più bassi e livelli più alti di capacità multitasking.
Messaggio pubblicitarioMa per quanto tempo?
Bastano solo dieci minuti al giorno di esercizi di rilassamento per diminuire la percezione di tensione muscolare, migliorare la qualità del sonno e diminuire la percezione di stanchezza e la sensazione di fatica. Questo il rincuorante dato di una ricerca del Medical center di Bethesda presentato nel corso del CHEST 2012 (metting annuale dell’ American College of Chest Physicians). La ricerca presentata è stata condotta su 334 soggetti a cui è stato chiesto di praticare per dieci minuti al giorno una particolare sequenza di esercizi di rilassamento e di visualizzazioni. I risultati evidenziano che il 65% dei componenti del gruppo hanno diminuito il loro livello di stress percepito, migliorato la qualità del sonno e diminuito la percezione del livello di stanchezza e affaticabilità quotidiana.